Confesso che sono stata uccisa (2013) by Paul Conroy

Confesso che sono stata uccisa (2013) by Paul Conroy

autore:Paul Conroy [Conroy, Paul]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2016-06-08T22:00:00+00:00


20 aprile 2011, Misurata, Libia.

Inizialmente io e Marie avevamo intenzione di andare a Misurata per una missione di ricognizione di due giorni, per vedere se era possibile corrispondere dalla città. Avevamo portato solo lo stretto indispensabile: macchine fotografiche, portatili e trasmettitori satellitari e, nel caso di Marie, l'unico lusso che si concedeva nelle zone di guerra: le mutandine di La Perla. Lasciammo indietro spazzolini da denti, sapone e vestiti. Dopotutto, si sarebbe trattato di pochi giorni, giusto? Sbagliato. Restammo a Misurata due mesi.

Eravamo a bordo del traghetto del nostro simpatico capitano greco e guardavamo il mare dai ponti sporchi di grasso quando scorgemmo Misurata. Pennacchi di fumo nero si levavano nel cielo dagli edifici bruciati. Il rombo sordo dell'artiglieria pesante riecheggiava nell'aria fresca del Mediterraneo. Marie ammutolì.

Come tutti, del resto. I pochi giornalisti che avevano fatto il viaggio insieme a noi fissavano la città in fiamme, immersi nei loro pensieri, immaginando il caos e la distruzione che li attendevano.

La paura è raramente argomento di conversazione tra i corrispondenti di guerra: nessuno la mostra né la nomina. Eppure era tangibile nel silenzio di tutti coloro che se ne stavano sui ponti del traghetto quella fredda mattina nuvolosa.

Caos è sinonimo di guerra. Hanno un rapporto simbiotico antico quanto i conflitti stessi. Nel porto di Misurata trovammo entrambi. Non appena i portelloni di prora di acciaio arrugginito si abbassarono sulla banchina, apparve il caos. Centinaia di volontari - portuali, ribelli e civili - che attendevano ansiosamente il traghetto, si precipitarono a bordo e si lanciarono nell'ardua impresa di scaricare i preziosi rifornimenti di cibo, medicine, combustibile e generatori di cui la popolazione, duramente provata, aveva estremo bisogno. C'era disperazione nei loro gesti e fame nei loro occhi mentre trasportavano il carico a terra.

Io e Marie emergemmo dalle viscere dello scafo buio, rimanendo per un attimo accecati dal sole libico. Nessuno sembrava avere idea di cosa fare, ma il nostro piano era astuto nella sua semplicità: trovare il ribelle più armato con il veicolo in migliori condizioni e andare dritti verso di lui. Il ribelle in questione si chiamava Raeda Montasser ed era un contrabbandiere di professione di cinquantacinque anni con due occhi gentili e vivaci.

Raeda rimase sconcertato di fronte all'incontenibile americana con la benda sull'occhio che si rifiutava di lasciarlo in pace finché non si fosse assicurata un passaggio in città.

Dopo le dovute presentazioni, Marie mi diede di gomito e mormorò: «Fagli vedere la lettera, Paul. La lettera».

La lettera era stata scritta da un consigliere del neonato governo di opposizione di Bengasi, roccaforte dei ribelli a est.

Mi era stato detto di consegnarla a qualunque capo delle forze ribelli a Misurata. Avevo fatto amicizia con l'autore della lettera qualche mese prima, quando lavoravo a Bengasi. Gli avevo dato erroneamente l'impressione di voler andare a combattere a Misurata e avevo rischiato di venire arruolato tra i ribelli. In realtà, stavo cercando di comunicare, a gesti, che ero un ex soldato e non avevo problemi ad andare al fronte. Fu solo quando mi porsero un pacco



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